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04-07-2019 La retribuzione minima per i lavoratori in trasferta UE/Svizzera

L’impresa che invia i lavoratori in trasferta nell’Unione Europea è obbligata a garantire al lavoratore un trattamento economico non inferiore a quello minimo previsto nella nazione di destinazione.

L’obiettivo è quello di evitare il cosiddetto “dumping sociale”, l’immissione in un mercato di forza lavoro con costi notevolmente inferiori rispetto a quella nazionale.

Di conseguenza l’elaborazione  del cedolino degli interessati non può prescindere dalla corretta individuazione della retribuzione per il periodo in cui si è svolta la trasferta.

Se non ha effettuato uno studio di fattibilità prima di inviare il lavoratore in trasferta e in fase di acquisizione della commessa, il datore di lavoro può incontrare notevoli difficoltà:

  • il preventivo lavori non teneva conto dei livelli retributivi più elevati di quelli nazionali, quindi si trova a sostenere maggiori costi e a non realizzare i margini attesi
  • non sa come e dove reperire i dati necessari alla corretta determinazione della retribuzione supplementare da riconoscere 

 

Alcuni stati, in modo particolare (ma non solo) quelli conosciuti come “neocomunitari”, quali ad esempio Romania,  Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, ecc., pongono minori problematiche.I trattamenti retributivi infatti sono in genere più bassi di quelli vigenti in Italia.

Altre nazioni, come la Svizzera e le nazioni nordeuropee in generale, applicano retribuzioni molto elevate rispetto ai nostri standard. Le retribuzioni francesi e tedesche generalmente non sono un problema se i nostri dipendenti sono tecnici specializzati con retribuzioni che superano i minimi sindacali. Possono però diventarlo se in Italia il dipendente percepisce solo la paga base contrattuale.